“Ciao Marco! Scusami tanto se ti rispondo solamente ora ma, in pratica, ero alla fermata dell’autobus col telefono in mano, pioveva un sacco e faceva veramente molto freddo. Stavo pensando che anche io non ho minimamente idea di chi chiamare per il calcetto stasera. Poi è arrivato l’autobus, io non me ne ero accorto quasi per nulla e per salire velocemente sull’autobus ho urtato appena appena il ramo di un albero lì vicino, quanto bastava per farmi cadere il berretto in una pozzanghera e farlo inzuppare completamente. Quindi, scusami ancora tanto, ora mi attivo e ti aiuto a risolvere definitivamente questa faccenda”.
Quella che avete appena letto potrebbe essere la trascrizione di uno dei tanti messaggi vocali che mandiamo o riceviamo durante le nostre giornate. Ora vi invito a rileggerlo in una versione ritoccata, saltando le parole sbarrate:
“Ciao Marco! Scusami tanto se ti rispondo solamente ora ma in pratica ero alla fermata dell’autobus col telefono in mano, pioveva un sacco e faceva veramente molto freddo. Stavo pensando che anche io non ho minimamente idea di chi chiamare per il calcetto stasera. Poi è arrivato l’autobus, io non me ne ero accorto quasi per nulla e per salire velocemente sull’autobus ho urtato appena appena il ramo di un albero lì vicino, quanto bastava per farmi cadere il berretto in una pozzanghera e farlo inzuppare completamente. Quindi, scusami ancora tanto, ora mi attivo e ti aiuto a risolvere definitivamente questa faccenda.
In questa seconda versione del testo sono stati rimossi tutti gli avverbi, senza nessuna pietà per il protagonista, fregandocene di conoscere la quantità di freddo che possa essersi sorbito o la quantità di acqua che ci fosse nel suo berretto.
In compenso però si è ottenuto un vantaggio: il testo è diventato più scorrevole, più leggero, più arieggiato. Senza le interruzioni degli avverbi il messaggio arriva in una forma più limpida, si fa meno fatica a recepirlo.
Ma allora sarebbe bene abolire gli avverbi? Certo che no, ma bisogna capire quand’è che sono veramente utili. Purtroppo, gli avverbi sono una delle merci più inflazionate dei giorni nostri, e gli aggettivi stanno prendendo la stessa piega. Ormai per mettere enfasi a un concetto che vogliamo esprimere, dobbiamo usare veramente tanti aggettivi, ma veramente, veramente, veramente tanti tanti tanti tanti aggettivi. Non se ne può più.
Come distinguere un avverbio (o un aggettivo) utile da uno inutile? Come tutte le altre parole, un avverbio è utile se aggiunge informazione al discorso, altrimenti non è altro che un riempitivo mascherato da parola ammessa nel vocabolario.
Le espressioni “ehm” e “in pratica” sono equivalenti, valgono entrambe zero. A meno che il discorso in cui si inseriscono non stia trattando un argomento in cui sono presenti sia un risvolto teorico che uno pratico: se siamo in procinto di passare dal primo al secondo, dire “in pratica” o “nella pratica” segnala questo passaggio, mentre “ehm” no. Si presume che il corretto uso di avverbi e aggettivi sia una nozione consolidata, ma in pratica non è così.
Tornando al messaggio del protagonista, dire “non ho minimamente idea” non fa differenza rispetto a dire “non ho idea”. L’idea non c’è, è questo quello che conta. Invece, dire che si è urtato “appena appena” il ramo serve a chiarire che non ci si è spaccati la faccia urtando contro il suddetto ramo, ma che l’urto è stato lieve, per quanto indesiderato.
Suggerisco quindi questo esercizio: prendete il testo, scritto od orale, che state per veicolare, e immaginatene una versione scarna, senza fronzoli, senza aggettivi e avverbi.
Fatto questo, concedetevi il lusso di reintrodurne solo un quarto di quelli originali. Questo no, questo no, questo sì, questo no. Vi accorgerete di aver fatto un regalo al vostro testo, che in questo modo volerà più leggero agli occhi dei vostri lettori e alle orecchie dei vostri ascoltatori.