Una storia ben raccontata ha spesso un effetto magnetico sugli ascoltatori. La gente potrebbe dimenticare cosa hai indossato durante una presentazione o alcune delle tabelle, dei grafici e dei dati statistici mostrati. Ma difficilmente dimentica le storie che hai raccontato.
E le storie aiutano anche a vendere prodotti o idee. É un dato di fatto il caso Significant Object: su Ebay una serie di oggetti sono stati messi in vendita prima accompagnati da prezzo, foto, e descrizione; poi con l'aggiunta di una storia, ed ogni oggetto ha visto crescere il suo valore del 2706%.
Eppure molti leader e manager evitano la narrazione nelle loro presentazioni, credendo di dover mantenere il loro discorso formale e professionale. Questo è uno dei motivi principali per cui spesso non riescono ad attirare l'attenzione del pubblico e a stabilire un atmosfera di fiducia e rispetto con i propri ascoltatori.
É invece fondamentale usare lo storytelling nel mondo degli affari; che tu stia parlando di fronte a duecento persone o facendo una presentazione al tuo cliente, non aver paura ad usare delle tecniche narrative.
I relatori pubblici professionisti utilizzano lo storytelling nelle loro presentazioni, per una varietà di motivi. Ne elenco almeno 8:
Prima di citare alcune tecniche dello storytelling, credo sia utile definire cosa sia. Perché oggi è un termine abbastanza abusato ed abbinato a modi di comunicare che non sono propriamente storytelling.
Lo storytelling usa le tecniche della narrazione e non tratta la creazione di elenchi, di fatti o numeri: quello è piuttosto fare biografia, cronologia.
Come approfondii nel podcast Storybizz, ai veri storytellers non piacciono le date, i fatti o i numeri, come scriveva Italo Calvino: "ogni volta che rivedo la mia vita fissata ed oggettivata, sono preso dall’angoscia. Ridicendo le stesse cose con altre parole, spero sempre di raggirare il mio rapporto nevrotico con l’autobiografia".
A Calvino non piacevano le biografie. Amava la narrazione, lo storytelling che incarna paure e sfide del pubblico che ascolta o legge. Lo storytelling punta, in primis, ad emozionare il pubblico. Per connettersi, con empatia.
Per fare storytelling è fondamentale "mappare" il pubblico, capendo quali sono i miti in cui si immedesima e le paure che lo allertano. Se non tocchiamo questi tasti, lo storytelling non risuona emotivamente nel pubblico e diventa un esercizio di stile o aneddotica.
Come descritto nel libro "Storytelling d'Impresa" (A.Fontana), ci sono 4 categorie di miti ricorrenti in ognuno di noi, che possono risvegliare l'immaginario dell'ascoltatore:
Abbinata ai miti, la narrazione può trattare le ferite, le paure, che abbiamo latenti.
Ci sono 5 categorie di paure:
La morte, il buio o la paura di parlare in pubblico, sono tutte angosce che possono essere ricondotte ad una delle 5 categorie. La morte è paura della privazione (della vita), la paura di parlare in pubblico è timore di vergogna, inadeguatezza.
Così, in un discorso di presentazione di un prodotto come una assicurazione medica, l'oratore può adottare tecniche narrative, usando miti differenti: potrebbe usare il mito della forza (se la sua assicurazione permette al protagonista/cliente di rimanere sempre forte, in salute, ristabilito fisicamente in tempi brevi) oppure della salvezza o della cura.
Poi lo storytelling potrebbe toccare certe paure: il protagonista potrebbe agire secondo il mito della forza, ad esempio, per ridurre certe sue paure/ferite, come l'abbandono (senza la salute, il cliente/protagonista sarebbe abbandonato, messo da parte, da quello che adesso lo circonda e gli è caro) oppure la vergogna (molte malattie e disturbi hanno uno stigmate sociale).
Dopo aver pianificato e selezionato quali miti e paure vogliamo usare nella narrazione, lo storytelling nel public speaking potrà avvalersi di alcuni schemi narrativi.
"Morfologia della Fiaba" e "Il viaggio dell'eroe" sono tra degli schemi narrativi più usati. In questi, si riconoscono elementi ricorrenti come:
Riassumendo: creare un efficace storytelling non è appena enunciare un elenco di fatti, successi della propria azienda, della propria vita o raccontare un aneddoto al pubblico. É, piuttosto, pianificare quali miti e paure vogliamo solleticare, per far entrare in risonanza emozionale il pubblico, attraverso le nostre parole.
“Ciao Marco! Scusami tanto se ti rispondo solamente ora ma, in pratica, ero alla fermata dell’autobus col telefono in mano, pioveva un sacco e faceva veramente molto freddo. Stavo pensando che anche io non ho minimamente idea di chi chiamare per il calcetto stasera. Poi è arrivato l’autobus, io non me ne ero accorto quasi per nulla e per salire velocemente sull’autobus ho urtato appena appena il ramo di un albero lì vicino, quanto bastava per farmi cadere il berretto in una pozzanghera e farlo inzuppare completamente. Quindi, scusami ancora tanto, ora mi attivo e ti aiuto a risolvere definitivamente questa faccenda”.
Quella che avete appena letto potrebbe essere la trascrizione di uno dei tanti messaggi vocali che mandiamo o riceviamo durante le nostre giornate. Ora vi invito a rileggerlo in una versione ritoccata, saltando le parole sbarrate:
“Ciao Marco! Scusami tanto se ti rispondo solamente ora ma in pratica ero alla fermata dell’autobus col telefono in mano, pioveva un sacco e faceva veramente molto freddo. Stavo pensando che anche io non ho minimamente idea di chi chiamare per il calcetto stasera. Poi è arrivato l’autobus, io non me ne ero accorto quasi per nulla e per salire velocemente sull’autobus ho urtato appena appena il ramo di un albero lì vicino, quanto bastava per farmi cadere il berretto in una pozzanghera e farlo inzuppare completamente. Quindi, scusami ancora tanto, ora mi attivo e ti aiuto a risolvere definitivamente questa faccenda.
In questa seconda versione del testo sono stati rimossi tutti gli avverbi, senza nessuna pietà per il protagonista, fregandocene di conoscere la quantità di freddo che possa essersi sorbito o la quantità di acqua che ci fosse nel suo berretto.
In compenso però si è ottenuto un vantaggio: il testo è diventato più scorrevole, più leggero, più arieggiato. Senza le interruzioni degli avverbi il messaggio arriva in una forma più limpida, si fa meno fatica a recepirlo.
Ma allora sarebbe bene abolire gli avverbi? Certo che no, ma bisogna capire quand’è che sono veramente utili. Purtroppo, gli avverbi sono una delle merci più inflazionate dei giorni nostri, e gli aggettivi stanno prendendo la stessa piega. Ormai per mettere enfasi a un concetto che vogliamo esprimere, dobbiamo usare veramente tanti aggettivi, ma veramente, veramente, veramente tanti tanti tanti tanti aggettivi. Non se ne può più.
Come distinguere un avverbio (o un aggettivo) utile da uno inutile? Come tutte le altre parole, un avverbio è utile se aggiunge informazione al discorso, altrimenti non è altro che un riempitivo mascherato da parola ammessa nel vocabolario.
Le espressioni “ehm” e “in pratica” sono equivalenti, valgono entrambe zero. A meno che il discorso in cui si inseriscono non stia trattando un argomento in cui sono presenti sia un risvolto teorico che uno pratico: se siamo in procinto di passare dal primo al secondo, dire “in pratica” o “nella pratica” segnala questo passaggio, mentre “ehm” no. Si presume che il corretto uso di avverbi e aggettivi sia una nozione consolidata, ma in pratica non è così.
Tornando al messaggio del protagonista, dire “non ho minimamente idea” non fa differenza rispetto a dire “non ho idea”. L’idea non c’è, è questo quello che conta. Invece, dire che si è urtato “appena appena” il ramo serve a chiarire che non ci si è spaccati la faccia urtando contro il suddetto ramo, ma che l’urto è stato lieve, per quanto indesiderato.
Suggerisco quindi questo esercizio: prendete il testo, scritto od orale, che state per veicolare, e immaginatene una versione scarna, senza fronzoli, senza aggettivi e avverbi.
Fatto questo, concedetevi il lusso di reintrodurne solo un quarto di quelli originali. Questo no, questo no, questo sì, questo no. Vi accorgerete di aver fatto un regalo al vostro testo, che in questo modo volerà più leggero agli occhi dei vostri lettori e alle orecchie dei vostri ascoltatori.
Due soci del club di Pisa, Nicola Di Grazia e Francesca Gammicchia, hanno sviluppato un canvas utile ai public speakers. É uno schema flessibile, che aiuta a strutturare un discorso persuasivo o un discorso informativo.
La principale differenza tra i due tipi di discorso é nell'obiettivo. Sono questi 2:
Puoi scaricare il PDF dai siti dei due soci del club: nicoladigrazia.it o talentoumano.org.